Poesie d’amore di Franco Campegiani.


Quando

 

Quando in penombre diafane

le porte schiudi del giardino

e complice mi fai

di indicibili misteri,

rovescio di petali

uragano di sorrisi

traboccano da fonti invisibili.

E violento si dilata un inno alla vita.

 

Quando l’onda verde e silente,

io seduto sul ciglio dei tuoi occhi,

fluire avvisto in fondo al dirupo,

un alto grido di aquila

dal mio petto erompe

nei tuoi cieli.

 

 

 

 

 

Luna apuana

 

Donnaluna, faro del cosmo,

bianca gemina

dell’impervia roccia apuana,

tu madre del cielo

e signora della terra,

freddo argenteo notturno mistero,

ora qui, clonata nel mio letto,

calda amante e struggente

femmina regale,

con occhi spalancati sul fluido abisso,

buchi neri che ingoiano

nei bluastri e dolci mondi dell’ignoto.

 

 

 

Dai tuoi fianchi

 

Dai tuoi fianchi fiorisce l’aurora

e il tuo seno ha profumo di tiglio stamattina.

M’affido al dio che scintilla dai tuoi occhi

e ai tuoi cicli cosmici assaporo

come tutto sia mutevole

e tutto sempre uguale.

Il tuo sorriso ha profumo di tiglio

e i tuoi capelli sono radici della sera.

Nel tuo palpito respirano le stelle.

E’ il tuo sguardo a tessere

fiori di galassie nel cielo.

 

 

 

Amarti è perderti

 

Amo il tuo sorriso giovane

e l’aria sbarazzina,

la frivola criniera

su quel tuo sguardo vivo.

Prendo i tuoi fianchi argentei

ed il roseo grappolo dei seni.

Affondo nel pube angelico

rapito da promesse astrali.

 

Legarsi e sciogliersi

questo è il gioco dell’amore.

Amarti è perderti,

è scoprirti tua, non mia.

 

E resto qui, chiuso nel giro

delle mie ossa.

Non so tendermi

verso il tuo essere infinito.

Mi sfibro a guardarti.

Non faccio che sfiorare

con un dito lieve

le tue fattezze morbide,

impotente di fronte all’amore

che trascende i confini.

 

 

 

Catturo il tuo sguardo

 

Catturo il tuo sguardo nell’azzurro

e, fusi nella gioia,

eccoci fuori dalla terra

catapultati verso i sacri sentieri.

L’ancora è salpata, amore mio.

Grandioso è il regno…

Alziamo la vela

nella giusta capriola del vento

sfruttando l’alata onda solare.

Più in là, nell’oceano delle stelle,

i segreti gorgogliano, maestosi della vita.

Fermi ai bordi della galassia

ne ascolteremo il sussurro fino a sera.

Poi, scesi di nuovo sulla terra,

non caleremo il velo di Maya,

né più coglieremo

i frutti dell’albero proibito.

Scesi sulla terra, amore mio,

là nel ribollente vulcano del dolore,

nessuno e niente ci priverà

dell’armonia.

 

Buongiorno

 

Buongiorno, glicine in fiore.

Mi manchi,

mia dea serena e limpida,

fonte guizzante di energia.

Sei il volubile teatro delle nuvole,

sei la patria del vento e del sole.

Sto nel cerchio carnale

dei tuoi amplessi eterici

e succhio pianto e gioia

dai tuoi candidi seni.

Mi manchi,

dolente capriccio

e bianco mistero d’armonia.

Eppure son qui,

a brucare sui manti eburnei

delle tue virginee rive.

Son qui, battuto dall’onda molle

dei tuoi alti venti siderali…

Mi manchi,

mia carne scissa da me,

nascosta chissà dove.

 

Battaglia d’amore

 

Con barbaro ardore il tuo grembo ho violato.

Con irruenza l’ho straziato

di mille cavalieri in corsa sulla radura.

L’ho squarciato, ricordi,

nel rombo degli zoccoli

nel martellante rullìo dei tamburi.

“Vittoria, vittoria” ho gridato,

sarabanda di trombe all’intorno

e di colpi mortali.

Sul tuo seno mi sono schiantato, invincibile,

il tuo sorriso m’uccide d’amore…

La mia rabbia dissolvi,

dea dell’ordine,

e riconducimi

alle supreme sorgenti della specie.

 

 

 

 

Roccia solenne

 

Dal sole e dal vento

tu roccia solenne

i manti ti fai modellare.

 

Sei bella e più bella

quando rivoli di lava

sprizzati dalla pelle

ti scavano i fianchi.

 

Ora la cera si scioglie

e la fiamma è più viva.

 

Sei tu la terra madre

che mi gioisce intorno,

e si corruga e si macera,

vulcano sempre attivo

che mi romba intorno

e si rinnova bruciando nella vita.

 

 

 

Sotto il monte nevoso

 

Sotto il bianco fascino

del monte nevoso

c’è un tepore di donna,

braccia calde e sguardo amico,

un rifugio, un fuoco acceso.

Là si posa e si consuma

tutto di me,

mette radici il seme.

 

… Era il sole una ferita nel cielo,

un passaggio di sangue, un’osmosi

nel cielo, tra i due mondi.

Senza indugi tu mi portasti

alle sante radici, alle ragioni

ultime e prime del big-bang,

dolenti scaturigini festose della vita…

 

Sto nell’incendio gelido

dei tuoi sguardi complici,

delle tue ammiccanti malie.

Al teporoso risveglio

mi sciolgo tra coltri candide

sui tuoi capezzoli divini.

E’ splendido il mattino,

se pure bigio e nevoso.

Algida farfalla rotoli

tra i bioccoli di neve

intorno al camino acceso.

Un sorriso rosso e profondo

mi morde il cuore.

 

 

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